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"Modì", Riccardo Scamarcio racconta il nuovo film di Johnny Depp su Modigliani

Protagonista del film "Modi" di Johnny Depp, presentato alla Festa del Cinema di Roma e in uscita nelle sale cinematografiche il 21 novembre, Riccardo Scamarcio parla di talento e riconoscibilità dell'artista, di distruzione e autodistruzione, del coraggio di arrivare a un punto dal baratro, di feeling e situazioni che accomunano i percorsi dell'artista Modigliani all'attore italiano.

Riccardo Scamarcio in una scena del film "Modì - Tre giorni sulle ali della follia" (Courtesy of the Production)
Riccardo Scamarcio in una scena del film "Modì - Tre giorni sulle ali della follia" (Courtesy of the Production)

Pellicola di chiusura della Festa del Cinema di Roma dopo la prima a San Sebastian, "Modì" racconta tre giorni della vita di Modigliani secondo Johnny Depp, tornato alla regia a quasi trent'anni di distanza da "The Brave". Tre giorni molto particolari, meglio "Three days on the wing of Madness", come recita il sottotitolo, trascorsi dall'artista con gli inseparabili Soutine e Utrillo nella Parigi epicentro dell'arte contemporanea all'epoca della Prima Guerra Mondiale. Nel ruolo del pittore e scultore livornese scomparso nel 1920 a trentacinque anni, Riccardo Scamarcio, una carriera esplosa nel 2004 con "Tre metri sopra il cielo", subito seguito da "Romanzo Criminale", due pellicole che lo trasformano in un sex symbol generazionale. Nei vent'anni successivi Scamarcio ha lavorato con tantissimi registi italiani, Marco Tullio Giordana, Placido, Sorrentino, Nanni Moretti, Castellitto, i fratelli Taviani, Pupi Avati, oltre che con Ozpetek, Valeria Golino, Valeria Bruni Tedeschi e Ginevra Elkann. E ha fatto parte di cast internazionali, per Woody Allen, Paul Haggis, Kenneth Branagh.

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Guarda il trailer di "Modì - Tre giorni sulle ali della follia", al cinema dal 21 novembre

L'OFFICIEL: Come sei stato coinvolto nel film di Johnny Depp, lo conoscevi già? O ti ha cercato apposta per questo ruolo?
RICCARDO SCAMARCIO: Non ci conoscevamo, lui ha visto una mia foto tramite la responsabile del casting, ne ha volute vedere delle altre, abbiamo fatto una zoom call. E stato molto gentile, molto simpatico, e poi ci siamo incontrati a Londra. Di base non ho mai fatto un provino per il film. È scattato un feeling.

LO: Tu che idea avevi di Modigliani prima di iniziare le riprese?
RS: Modigliani lo conosco da quando ero bambino, perché mia madre è una pittrice, ed è un'appassionata dei suoi quadri. E io così, in maniera quasi ancestrale, sono cresciuto con i libri dei suoi quadri, per cui è forse il pittore che conosco meglio di chiunque altro.

LO: Avevi già interpretato un pittore, eri stato Caravaggio nel film di Placido. Tra i due ci sono secoli di distanza e ogni ruolo è un ruolo a sé, ma ci sono state delle somiglianze nel tuo modo di avvicinarti a questi due artisti?
RS: Ci sono delle analogie tra questi due artisti, dei punti di contatto. Modigliani è morto di stenti, senza soldi e nelle aste ormai i suoi quadri sono venduti a cifre record. Così come Caravaggio è stato cancellato per 250 anni e soltanto negli anni venti gli sono state riattribuite tutte le sue opere. Quindi due artisti incredibili cui solo post-mortem è stato riconosciuto il talento che avevano, che è il tema centrale del film, che racconta tre giorni in un momento di svolta nella vita di Modì, allora fidanzato con Beatrice Hastings (Antonia Desplat nel film), un'intellettuale inglese, critica, scrittrice, femminista, progressista. La loro relazione è alla fine e lui vuole andare via da Parigi perché non ne può più dei collezionisti, dei critici, dei galleristi, di tutta quella dinamica che un artista deve vivere per far sì che le sue opere siano conosciute, vendute eccetera. Lui vuole andarsene, ma il suo gallerista gli dice che finalmente Maurice Gangnat, un grandissimo collezionista dell'epoca, che nel film è interpretato da Al Pacino, vuole incontrarlo, e che forse questo poteva essere finalmente la svolta.

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Riccardo Scamarcio e Antonia Desplat, rispettivamente Amedeo Modigliani e Beatrice Hastings, in una scena del film "Modì - Tre giorni sulle ali della follia" (Courtesy of the Production)

LO: Da cosa sei partito per interpretare Modigliani?
RS: Dal rapporto con Johnny, il personaggio l'ho trovato facendolo, non so, non saprei come spiegare.

LOI: Qual era la visione di Johnny Depp di Modigliani, cosa voleva che venisse fuori?
RS: Penso che anche lui l'abbia scoperto facendolo, non siamo partiti da un'idea, sicuramente il punto centrale del film è la dinamica che un artista deve vivere, che è la riconoscibilità, non voglio dire il successo, perché la riconoscibilità significa che il proprio talento viene riconosciuto, una dinamica che Johnny e io conosciamo molto bene, perchè sappiamo che ci sono delle cose che un artista non può cedere, non deve vendere di sé.

LO: Secondo te il limite di Modigliani nel senso: non cedo oltre a questo di me, cos'era?
RS: Io credo che l'arte nasce da un processo interiore privato, intimo e quindi sia tutto quello che nasce attraverso questo meccanismo e questo principio in cui tu esprimi te stesso. Nel momento in cui tu cominci a fare cose su commissione entriamo in un altro ambito, che è il prodotto, senza diventare integralisti perché poi il film racconta anche le sue miserie, c'è un rapporto molto forte con la distruzione, con la necessità di distruggere.

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Amedeo Modigliani in una fotografia del 1915 che lo ritrae nel suo studio parigino e ritrovata nelle collezioni del Museo de l'Orangerie (Fine Art Images/Heritage Images/Getty Images)

LO: Parli di distruzione, immagino di regole mainstream, o di autodistruzione?
RS: Di distruzione che parte intanto dall'autodistruzione.

LO: Senza conoscerlo di persona come lo conosci tu, la prima cosa cui ho pensato istintivamente è che uno come Johnny Depp è attratto da uno come Modigliani per quest'idea di autodistruzione...
RS: Non è questione di autodistruzione, è più una questione di vivere e avere il coraggio di arrivare a un passo dal baratro. Il punto è essere a un passo dal baratro e riuscire a camminare sul filo. Questo è il punto: non c'è creatività se non c'è pericolo.

LO: Nella tua carriera dov'è che hai sentito di aver raggiunto questo massimo di creatività al limite del pericolo?
RS: Da subito, da sempre, tutti i giorni. Vivo sul filo da un punto di vista professionale e artistico, nel senso che il mestiere dell'attore in sé ti mette in pericolo sempre, ogni film, non soltanto in pericolo perché vuoi fare le cose al posto dello stuntman, mi riferisco a un pericolo proprio dell'interpretazione, di essere sul palcoscenico, di non essere all'altezza. È un mestiere per spericolati, come Johnny Depp. Pure io da ragazzino ero veramente spericolato.

LO: E adesso?
RS: Non lo so, adesso il pericolo cerco di procurarmelo sempre nel mestiere, nella vita un po' meno, sono un po più tranquillo.

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Riccardo Scamarcio in una scena del film "Modì - Tre giorni sulle ali della follia" (Courtesy of the Production)

LO: Credi che essere diretto da un regista che è in primis un attore sia diverso dall'essere diretto da un regista che non ha mai fatto l'esperienza dell'attore in prima persona?
RS: Sì, c'è una differenza anche se poi ci sono dei registi che non sono stati attori ma sono attentissimi a quello che gli stai dandoe sono proprio completamente sintonizzati, perché in fondo il rapporto tra un regista e un attore si basa sulla fiducia: il regista è il tuo primo spettatore e l'attore è il terminale attraverso il quale le parole che il regista ha pensato prendono vita, quindi è proprio lo strumento ultimo che muove in scena e rende energia le parole che sono su un pezzo di carta.

LO: Tu hai mai pensato di passare alla regia?
RS: Non veramente, sono un produttore e questo mi prende molto tempo.

LO: Come produttore, di quali film sei particolarmente orgoglioso?
RS: Credo che "L'ombra del giorno" sia molto bello, poi direi "Race for Glory" con Daniel Brühl, "Miele", il primo film di Valeria Golino, "Pericle il Nero", "Per amor vostro", un film in bianco e nero di Gaudino.

LO: E come attore?
RS: Non saprei. Io poi vivo il mio lavoro anche con un certo pragmatismo, mi piace stare sul set, fare film, c'è un senso, anche un bisogno pratico per la mente di fare qualcosa, di stare lì e mettere in piedi un film, è come piantare un vigneto. 

LO: Mi dici un film, un'opera d'arte, qualcosa che hai visto recentemente che ti ha colpito?
RS: Ho visto ieri sera "The Trainer", un film di Tony Kaye, un bravo regista inglese che da molto non faceva film, quello di "American History X" per intenderci, uno che non le manda a dire. Prodotto da Vito Schnabel, che è mio amico.

LO: Tornando a Johnny Depp, i tempi di "Buon compleanno Mr. Grape", dei film di Tim Burton, di Winona Ryder, e della sua ritrovata popolarità come il capitano Jack Sparrow di "Pirati dei Caraibi" mi sembrano lontanissimi, e dopo Amber Heard e dopo averlo visto sfasciato e piattissimo come attore in "Jeanne Du Barry" non riesco a non trovarlo respingente. Invece tu...
RS: lo ho lavorato con una persona con un'aura potentissima, quello che lui emana è bello, molto bello, è sofisticato.

LO: Altri registi con cui vorresti lavorare?
RS: Sicuramente Coppola, non ho ancora visto "Megalopolis", ma che lui abbia venduto la sua azienda vinicola per realizzarlo a 80 anni e passa per me basta, poi chi se ne frega del film, a me interessa il viaggio. E mi piacerebbe essere diretto da Scorsese. E da Alice Rorwacher.

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