Fashion

La Random Identities di Stefano Pilati

Il défilé di Random Identities ha segnato il ritorno del designer, che oggi rivendica l’indipendenza dalle dinamiche del fashion business tradizionale
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«Oggi disegno esperienze, parto da un’idea e la sviluppo, prendendomi la responsabilità di fare qualcosa che considero rilevante». Stefano Pilati torna sul palcoscenico del fashion business e lo fa con lo stesso spirito irriverente e anticonformista che da sempre anima la sua storia creativa. Cambiando, in qualche modo, le regole: ha voluto stupire, ancora una volta, facendo sfilare look già visti, anzi già in vendita, appoggiandosi a una rete di distribuzione tutt’altro che capillare. Con Random Identities, il progetto ferocemente indipendente che Pilati ha creato nel 2017, è uscito dagli schemi tipici del mondo della moda a quali non intendeva più sottostare. Dopo il debutto su Instagram, «perché era l’unico modo che avevo di farlo», l’ex direttore creativo di Yves Saint Laurent e di Ermenegildo Zegna Couture ha iniziato a produrre i pezzi che avevano avuto i feedback più interessanti dal pubblico. E li ha commercializzati soltanto attraverso Ssense.com, il sito canadese di shopping di ricerca, nei cui uffici ha organizzato una prima sfilata trasmessa online, e Dover Street Market, la rete di concept store creata da Comme des Garçons. In principio la sua idea di eleganza selvatica e non-binaria ha attratto con riserva, venendo spesso valutata come un esperimento perfetto per la scena underground berlinese, città dove il designer vive da quando ha abbandonato le grandi capitali della moda, ma difficile da proporre altrove. Poi è arrivato lo show di inizio gennaio a Firenze, come ospite di punta della 97esima edizione di Pitti Immagine Uomo, ed è stato un catalizzatore potentissimo, grazie a una sequenza di abiti senza genere, capaci di essere allo stesso tempo austeri ed estremi, sensuali ed essenziali, tutti costruiti secondo i principi della sartorialità più elevata (e per l’Italia ora disponibili da Modes a Milano). «Questa non è una collezione nel senso canonico del termine, mi piace disegnare esperienze... Non punto a dimostrare che sono il numero uno, se la gente lo pensa, bene ma non è quello il mio scopo». Sorride Pilati mentre parla, non nasconde la soddisfazione per gli applausi, ma nemmeno li prende troppo sul serio. «Ci ho messo 14 mesi a decidere di fare una seconda sfilata e mi Il défilé di Random Identities ha segnato il ritorno del designer, che oggi rivendica l’indipendenza dalle dinamiche del fashion business tradizionale sono convinto perché Pitti è un territorio neutrale, dove mi sento a mio agio e perché era giunto il momento di vedere i miei abiti in passerella. Di certo però non voglio più ritrovarmi incastrato nei meccanismi esasperati del fashion business, che secondo me dovrebbero cambiare». Per come la vede lui, un mercato saturo di prodotti finisce per annoiare le persone, proprio come la creazione di certe identità aspirazionali che nei fatti si rivela sterile, quando non è supportata da una reale evoluzione personale. Ribadisce convinto il senso del suo messaggio: «La cosa che più mi interessa è la vicinanza con le persone, il comprendere le loro reazioni di fronte a ciò che faccio. In questo senso Instagram mi intriga, dandomi l’opportunità di esprimere ciò che sento. È il mio diario. Il 70% delle persone che hanno sfilato sono miei amici, compreso il bimbo, figlio di amici. Mi ha visto che portavo gli stivaletti coi tacchi, me li ha chiesti per sé, io glieli ho dati e ora li indossa anche a scuola: ci siamo intesi alla perfezione lui ed io, non poteva non esserci quella sera. Averli tutti intorno è stato un momento molto bello. E intimo».

Foto Astra Marina Cabras

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