Le campagne più iconiche di Benetton: l'omaggio a Oliviero Toscani
Un tributo al genio di Oliviero Toscani, che ha rivoluzionato la pubblicità con le sue campagne provocatorie e dirompenti. Dalle immagini simboliche all’impegno sociale, il suo lavoro ha ridefinito il concetto di comunicazione visiva.
Con la morte di Oliviero Toscani, il celebre fotografo italiano scomparso oggi all'età di 82 anni dopo una lunga malattia, vola via un pezzo di storia di una delle aziende con cui ha collaborato per anni e che più hanno decretato il successo del Made in Italy nel mondo, la Benetton.
Era il 1965 quando Luciano e i fratelli Carlo, Gilberto e Giuliana lanciarono l'impresa di famiglia che, in circa mezzo secolo, ha conquistato un ruolo di rilievo nel panorama imprenditoriale italiano e internazionale. Un marchio che, com'è noto, è rimasto fedele alle sue origini trevigiane, non senza innovare. E gran parte del suo successo Benetton se l'è giocato con la pubblicità, mezzo di comunicazione reso opera d'arte insieme al fotografo Oliviero Toscani.
Se la prima pubblicità di Lady Godiva era in bianco nero con una donna in pieno stile anni '60, le immagini rivoluzionarie di Toscani contribuirono alla creazione del mito Benetton (e viceversa) tra il 1982 e il 2000. E lo shockvertising del fotografo è stato esposto in molti dei più famosi musei ed è, oggi, oggetto di studio in tutte le università e gli atenei di comunicazione. La storia di Benetton attraverso le sue campagne pubblicitarie più belle.
Le campagne pubblicitarie più belle di Benetton: 1966
Le campagne pubblicitarie più belle di Benetton: 1972
Le campagne pubblicitarie più belle di Benetton: 1984
Le campagne pubblicitarie più belle di Benetton: 1989
Le campagne pubblicitarie più belle di Benetton: 1993
Le campagne pubblicitarie più belle di Benetton: FW 2018
Nudi come San Francesco, che si spogliò degli abiti e delle ricchezze del demonio, e nudi come tutte le creature del suo Cantico delle Creature: “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra” e per queste nuove creature della Città Futura che neppure Giotto seppe pre-vedere e disegnare. Non più creature di città dolenti di macchine e di cemento, di acciaio e di polvere, qui ci sono nove pezzi, unici e tuttavia uguali, di un’umanità che presto inchioderà il vecchio mondo al suo odore scorante di materia in decomposizione e di roba smessa.
Pupille di luce che brillano come in un arcobaleno, e pelli colorate che si mischiano, questi nove figli nostri sono frate Sole e sora Luna finalmente abbracciati e confusi: creature giovani di roccia fertile, di pietra morbida della quale ci si potrà finalmente fidare.
Nudi come San Francesco, che si spogliò degli abiti e delle ricchezze del demonio, e nudi come tutte le creature del suo Cantico delle Creature: “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra” e per queste nuove creature della Città Futura che neppure Giotto seppe pre-vedere e disegnare. Non più creature di città dolenti di macchine e di cemento, di acciaio e di polvere, qui ci sono nove pezzi, unici e tuttavia uguali, di un’umanità che presto inchioderà il vecchio mondo al suo odore scorante di materia in decomposizione e di roba smessa.
Pupille di luce che brillano come in un arcobaleno, e pelli colorate che si mischiano, questi nove figli nostri sono frate Sole e sora Luna finalmente abbracciati e confusi: creature giovani di roccia fertile, di pietra morbida della quale ci si potrà finalmente fidare.
Grazie a loro i colori torneranno innocenti: non ci sarà più la strega nera che offre la mela avvelenata rossa alla fanciulla bianca-neve. Non più la guerra delle razze, ma il miracolo etnico con la ricchezza delle sue reminiscenze pacificate. Forse qui la pelle scura è anche quella dei beduini del monte Sinai, e ci sono tracce d’Asia persino nelle sopracciglia; e magari negli occhi di blu-chiaro c’è il freddo della Svizzera mentre nel blu-nero c’è il caldo della Grecia madre d’Europa, e forse nel naso scuro e sottile c’è l’Etiopia somala; vedo ricordi imperiali nei capelli di seta e accenni tribali nel riccio indomabile, un tocco d’Italia profumata nelle ciglia lunghe.
C’è persino il ritmo cubano nell’immagine, che è ferma, è vero, e tuttavia le creature sembrano muoversi nel Cantico della successione: spostamenti, toccamenti, aggrappamenti con balenii di Africa e di Cina e di gialli e di rossi da pittura creativa. È la foto delle Metamorfosi, tipiche delle civiltà imperiali, della Roma degli Augusti come dell'America dei Presidenti, della Globalità dove ogni cosa passa in un'altra, si tramuta nel suo contrario.
Davvero in quest’immagine c’è Michael Jackson che sbiancava il nero e c’è l’evoluzione dei Lumumba, dei Senghor e dei Frantz Fanon che annerivano il bianco, ma anche dei Lenin e dei Lin Piao, c’è la rivoluzione che diventa con-fusione perché toglie l'identità certa all’Oriente e all’Occidente e li con-fonde, c’è il pavone dello Zoroastrismo che assimila la Croce di Roma, il Ramadan che diventa banchetto pasquale, il latte di cammella che si tramuta in succo di vite, il burqa trasparente sul corpo di Venere, e c’è Fatima, figlia di Maometto, che prende le fattezze di Maria, madre di Cristo.
Contro le guerre civili, contro le mafie e le violenze urbane dell’identità, contro i feroci conflitti etnici, contro le guerre di faglia e di religione, contro il terrorismo e contro tutti i razzismi risorgenti c’è la gioiosa con-fusione come valore, il Cantico delle Creature che avvicina al Cielo e sottomette il mondo.
Images courtesy of Benetton