Women’s rights: l'intervista a Sabina Belli
Con una donna su tre che a livello globale subisce violenza sica, sessuale o psichica nel corso della vita, siamo ancora lontani dalla parità di genere. Il numero dei femminicidi, la percentuale elevata di disoccupazione femminile e il gap salariale e di percorsi di carriera anche in Italia evidenziano che c'è ancora molto da fare...
Sabina Belli, CEO di Pomellato, alla disuguaglianza di genere non ha solo dedicato un libro, “D come donna, C come CEO”, che ne esplora gli effetti in materia economica e di opportunità professionali, ma tutta una serie di iniziative sostenute dal brand, tra cui il supporto a CADMI, la Casa di Accoglienza delle Donne maltrattate di Milano, il primo centro antiviolenza fondato in Italia nel 1986.
L’OFFICIEL ITALIA: Anche oggi non è una bella giornata per le donne: tra le news del mattino c’erano le storie di Vanessa Ballan, accoltellata da un ex amante che lei aveva denunciato per stalking, di Samira Sabzian, impiccata in Iran per aver ucciso un marito violento che era stata costretta a sposare a 15 anni, e la sentenza di ergastolo per i genitori di Saman Abbas (la diciottenne di Novellara uccisa dalla famiglia di origini pakistane per aver rifiutato un matrimonio combinato). Come è nata l’idea di sostenere CADMI?
SABINA BELLI: Quando sono arrivata da Pomellato ho iniziato a studiarne le origini: il brand è stato fondato nel 1967, quando iniziano le rivendicazioni femministe nelle università americane. A cinquanta anni di distanza c’è stata un’evoluzione pazzesca della società e invece sembra tutto fermo nella condizione femminile, con una donna su tre che subisce violenza di genere, che sia psicologica, economica o sessuale. Il che vuol dire che potenzialmente c’è sempre qualcuno attorno a noi che sta vivendo una guerra che nessuno conosce. Del resto è molto difficile uscire dalla spirale della violenza, perché raccontare, denunciare è reso difficile dalla pressione sociale, dalla salvaguardia della propria reputazione, perché i commenti prevalgono sulla problematica, sembra di sentire sempre in sottofondo il mormorio: “se l’è cercata”. Si finisce per vivere in una dimensione di vergogna, timore, sporcizia, misto a un senso di protezione per il partner, perché raccontare significa esporlo al giudizio pubblico. I centri antiviolenza come CADMI sono una soluzione tangibile: qualcuno cui raccontare per poi prendere le iniziative giuste per non farsi sopraffare.
LOI: Alla serata di raccolta fondi per CADMI hai detto di avere la sensazione che il grande coinvolgimento in reazione all’omicidio di Giulia Cecchettin potesse rappresentare l’inizio di una svolta. Che iniziative credi sia importante prendere?
SB: Un intervento educativo a tutti i livelli, sottraendo esseri in divenire a chi cerca di instillare in loro un senso di inadeguatezza, per cui tante donne brave e preparate non osano chiedere un aumento di stipendio perché hanno sempre la sindrome dell’impostore. Tra i parametri fondamentali da trasmettere credo ci sia la coscienza della propria preziosità, la volontà di esigere il rispetto assoluto su scelte ed opinioni, il saper dire di no. Basta giustificare quello che non va con l’atteggiamento: “lo sai come sono gli uomini”.
«Il brand è stato fondato nel 1967, quando iniziano le rivendicazioni femministe nelle università americane».
LOI: Altre iniziative concrete in cui credi?
SB: Fare del rispetto della sessualità una materia scolastica, quando tra i ragazzi l’accesso facile al porno e all’hard porno rappresenta il primo approccio alla sessualità, anche se sarà dura perché ormai il ruolo dei professori è influenzato dai genitori, e se non ci si ritrova su terreni di esigenza comportamentale condivisi, cadono le linee guida. Il linguaggio va sanzionato, sempre, abbiamo tutti, anche gli uomini, un dovere di esemplarità per cui bisogna trasformarsi tutti in sentinelle vigilanti per far tacere la battuta ridanciana che ribadisce i pregiudizi, come sottolineava alla nostra serata di raccolta fondi Fabio Roia, Presidente del Tribunale di Milano e consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta su femminicidio e violenza di genere. La vicenda di Giulia ha aperto gli occhi sugli atteggiamenti dei fidanzatini, ora occorre che anche il cinema offra sviluppi e archetipi diversi da passione/sottomissione, ci deve essere un principio di narrativa che cambia.