I poeti maledetti e senza tempo di Yohji Yamamoto
Il luogo non è grande e sontuoso, tantomeno si tratta di un ex fabbrica o uno spazio industriale.
È un ambiente piccolo, raccolto. La maggior parte degli ospiti è vestita di nero, come neri sono anche gli abiti dei suoi collaboratori. L'attesa per la sfilata di Yohji Yamamoto è un momento particolare in cui osservare persone e sguardi. In prima fila non ci sono i soliti giornalisti, le solite celebrities, i soliti volti da social network. Si ha l'impressione di assistere a uno spettacolo diverso, che richiede concentrazione e riguardo. Tutti attendono in silenzio che la musica parta e dia il via alla sfilata. E così è.
Sulle note di una canzone voce e chitarra sfilano modelli anch'essi vestiti di nero, naturalmente. Gli unici accenti di colore sono dei disegni astratti che come pennellate attraversano e decorano camicie, pantaloni e cappotti. Le silhouettes sono over e tutti i looks ampi e morbidi, i pantaloni fluttuano al camminare dei mannequins, le camicie disegnano la figura e i cappotti in crêpe di seta scivolano fino alla caviglia. Anfibi completano tutti gli outfits e si alternano a sandali bassi portati sia con sia senza calze. Nella seconda parte dello show arriva anche il colore. Gli abiti, i parka, i pantaloni corti e le camicie si tingono di grigio, blu cobalto e bianco. E si abbiano a capi spalla scuri, intrecciati sul fronte o sul retro attraverso lacci o lembi di tessuto liberi. Senza che ci sia un'uscita finale, come è classico avvenga alla fine di ogni sfilata, il maestro sorprende con un accenno di camminata verso il pubblico, toglie il cappello e ringrazia. Si ha l'impressione di rivivere un momento già vissuto mille altre volte, quella sensazione di conforto nel sentire che tutto cambia, senza cambiare mai.