Dolce & Gabbana, quando artigianalità fa rima con poesia
Sulle note raffinate e toccanti delle melodie di Franco Battiato, Dolce&Gabbana mandano in scena una collezione che, prima di essere moda, è un microcosmo di artigianalità e antichi mestieri: quella manualità esperta e defilata che ha reso celebre il Bel Paese nel mondo, è qui spavaldamente elevata al rango della passerella, nell’encomiabile tentativo di preservarla così dalle meccaniche fagocitanti e spesso insensibili della modernità. Sfilano l’orologiaio e il pastore, il calzolaio e il panettiere, fieri nella loro fatica, umili nel loro incedere, vestiti di uniformi che per l’occasione si fanno sontuose: splendidi i maglioni tricottati e le jumpsuit lavorate ai ferri, celebrazione di una tradizione magliaia che avvolge e rassicura, mentre voluminosi montoni rovesciati impreziosiscono le silhouettes essenziali, esagerandone i volumi senza contaminarne la genuinità. La pelle è splendidamente trattata in tutte le sue declinazioni, dalla tuta del giardiniere in indimenticabile color espresso, alle proposte più urban dei capispalla, scaldate qua e la dal pelo riccio dei dettagli in montone; una moda che è abbigliamento per persone reali e che rifugge con eccellente maestria qualsiasi rischio caricaturale, anche nelle uscite dove il pittoricismo si fa più calcato (vedi il pastore con l’agnello). Le stampe accompagnano la collezione, arricchendone la calda palette cromatica con scene di bottega o con i motivi logo, che non stonano nella loro calligrafia che ricorda le firme degli artigiani e che fanno capolino tra gli impeccabili abiti sartoriali, da sempre punta di diamante del guardaroba maschile firmato Dolce&Gabbana. Ad assistere alla sfilata un gruppo di giovanissimi tik-tokers, gli utenti del social del momento invitati ad immortalare la collezione nei loro profili, nella consapevolezza che la tutela e salvaguardia della tradizione passa necessariamente dal confronto con l’innovazione digitale, perché perdere il passato significa perdere il futuro.