Salutisti Anonimi
Viviamo in un’epoca in cui la tecnologia ci permette di controllare il nostro stato di salute attraverso app, fitness tracker e ricerche online. L’attenzione per gli ingredienti che mettiamo a tavola e sulla pelle è cresciuta in modo spasmodico. Gregory Dana Ullman, autore americano fautore dell’omeopatia, sostiene che se ci fosse un’organizzazione chiamata “Salutisti Anonimi” sarebbe molto popolare, perché è un disturbo insidioso che si maschera facilmente da scelta lifestyle. Il campo in cui si manifesta di più è quello alimentare: l’olio di palma, lo zucchero, la carne rossa, ma per i più integralisti anche l’olio e i succhi di frutta non spremuti a freddo, il glutine e i latticini sono trattati come vere e proprie sostanze pericolose da bandire. Già nel 1997 il dietologo Steve Bratman coniò il termine “ortoressia” in riferimento all’ossessione per il cibo sano: oggi secondo il Ministero della Salute gli ortoressici in Italia sono circa 500mila su oltre 3 milioni di persone che soffrono di disturbi alimentari. I più a rischio sono i post-Millennials nati tra la seconda metà degli anni novanta e il 2010, perché sono i più attenti a quello che mangiano: secondo Nielsen Global Health and Wellness Report 2015, la Generazione Z cerca alimenti freschi, naturali e trattati il meno possibile e premia i superfood, tutte qualità per cui è disposta a spendere di più.
Il numero di ortoressici è cresciuto anche a causa dell’avvento del digitale, che ha reso la gastronomia prima un successo tv e social, poi uno dei principali temi di dibattito virtuale. Eve Turow nel suo libro “A Taste of Generation Yum” sostiene che sia proprio la “deprivazione sensoriale” imposta da pc e smartphone ad aver ravvivato il piacere del gusto. «I cambiamenti culturali hanno un’influenza importante sui nostri atteggiamenti psicologici e il fatto di avere a disposizione più strumenti e di poter condividere informazioni illimitate fa perdere l’orizzonte, rendendo più difficile discernere tra verità e opinione, un fatto molto rischioso nel campo del cibo e della salute», spiega la psicologa, psicoterapeuta e sessuologa Roberta Cacioppo. Non è un caso se la ricerca dei sintomi online abbia portato a coniare già dal 2000 un nuovo termine per descrivere un’altrettanto nuova patologia, la “Cybercondria”, la mania di farsi autodiagnosi con Google. E l’uso del motore di ricerca non è l’unica cosa che può sfuggire di mano, vista l’abbondanza di tecnologie che tengono sotto controllo i più vari parametri di salute: dal contapassi fino alle app che controllano il ciclo mestruale. «Questi dispositivi ci consentono di avere un apparente controllo su di noi con il rischio però di diventare una prigione, perché l’illusione di essere padroni della propria vita è molto rassicurante», continua la dottoressa Cacioppo. Il pensiero razionale non basta, ma un buon inizio è provare a capire se si rientra tra gli “health-aholic”. Come? «La questione è nell’intensità: nel momento in cui si limita la propria vita sociale e si sente il bisogno di recuperare dopo aver trasgredito a tavola o saltando la palestra, allora c’è qualcosa che non funziona». Magari in questo caso il film di Verbinsky può essere una prima vera cura.