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L'arte ribelle e sovversiva di Niki de Saint Phalle in mostra al Mudec di Milano

Una mostra al Mudec di Milano - dal 5 ottobre 2024 al 16 febbraio 2025 - celebra l'arte sovversiva, ribelle alle convenzioni di razza e di genere, e il sincretismo culturale della pittrice, scultrice e performer.

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Niki de Saint Phalle (L'OFFICIEL Paris n. 608 del 1974/Archivio L'OFFICIEL)

Il Mudec di Milano mette in scena 110 opere di Niki de Saint Phalle, scomparsa nel 2002 a 72 anni, coprendo - la mostra è aperta dal 5 ottobre 2024 al 16 febbraio 2025 - tutto l'arco temporale del suo lavoro, dai primi artwork del 58 fino a pochi mesi prima della morte. Molto bella, con un senso warholiano della comunicazione e della promozione di sé, Saint Phalle sfida le convenzioni, gli stereotipi, sociali e familiari (è un'aristocratica che denuncerà con un film il padre, per la violenza subita quando era appena dodicenne), di genere (il suo è il mondo matriarcale delle Nanas, Veneri di Willendorf in versione pop; sarà una delle poche artiste donne del tempo a godere in vita di fama internazionale), di razza (con le crocifissioni e le celebrazioni di artisti e atleti di colore), culturali (il suo è un vocabolario sincretistico che si rifà a mitologie mediterranee, indiane, mesoamericane), fino a difendere i malati di Aids negli anni più orribili, quando erano stigmatizzati dalla società. 

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The Tarot Garden, 1991 (2024/Niki Charitable Art Foundation)

Affascinata dalle collezioni di arte egizia del Metropolitan, come dalle prime mostre di Pollock negli anni '50, inizia con collage e pittura per poi passare via via, attraverso una sperimentazione incessante, alla performance, con i famosi "Tirs", quando tra ‘61 e '62 sparava palloncini pieni di vernice. Nel '60 era andata a vivere con Tinguely, condividendo l'atelier parigino all'Impasse Ronsin ed è lì che crea i suoi assemblaggi di oggetti di plastica e tessuto: donne partorienti, streghe, prostitute, spose cadavere, messia femminili, una denuncia della condizione femminile che si evolverà nella creazione di figure matriarcali giganti, dee madri gioiose, danzanti e colorate, le Nanas realizzate all'inizio in tessuto e cartapesta e poi in resina, sempre più grandi, fino a quella ("She-A Cathedral"), di 23 metri per sei costruita per il Moderna Museet di Stoccolma nel 66, dove si poteva entrare dalla vagina e che conteneva al suo interno un acquario, un bar, un cinema che proiettava un film della Garbo. Nel '78 Saint Phalle, che frequenta il cileno Alejandro Jodorowsky, inizia il Giardino dei Tarocchi vicino a Capalbio, creando in 20 anni le 22 sculture giganti in ceramica e mosaico degli arcani maggiori, ispirandosi ai parchi manieristi toscani e laziali e al parco Güell di Gaudì. Come anni dopo, trasferitasi a San Diego, creerà un parco di sculture, "Queen Califia's Magical Circle", dedicato alla fondatrice della California, dove un muro a forma di serpente circonda la statua di Califia su un'aquila a cinque zampe e otto totem ricoperti di simboli Native American, pre-colombiani e messicani, tre dei quali in mostra al Mudec, in conversazione con le collezioni etnografiche del museo. Lucia Pesapane, curatrice della mostra come di quella che inaugurerà il 10 ottobre all'Hangar Bicocca su Tinguely, sottolinea che proprio a Milano era stata allestita la prima esposizione di quelli che sarebbero diventati i Nouveaux Realistes, oltre a Saint Phalle e Tinguely, Yves Klein, Christo, Rotella... «Saint Phalle era avanti sul suo tempo, sensibile a temi oggi di attualità, come l'impegno per l'ambiente e la difesa degli animali. Ed è stata un ponte tra i neorealisti francesi e il new dada americano», spiega Pesapane. «Era un'autodidatta, incuriosita e rassicurata da quelle espressioni artistiche che non necessitavano di una tecnica consolidata. 

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Les Trois Graces (2024/Niki Charitable Art Foundation)

Ed è stata influenzata dall'onirismo, dal surrealismo di Max Ernst e Dorothea Tanning. Sapeva farsi sentire, andava dritta allo scopo, aveva la capacità di bucare lo schermo, le sue apparizioni televisive erano sensazionali. Quando inscenava le sue performance chiedeva look su misura a Saint Laurent a Marc Bohan, allora direttore creativo di Dior, per accentuare l'elemento di stupore. Lei e Tinguely erano i Bonnie & Clyde dell'arte del loro tempo, erano complementari, il colore di lei e la ferraglia di lui, le forme appuntite di lui e quella arrotondate di lei. Quando si dedica al Giardino dei Tarocchi lui fa il suo ciclope a Milly-la-Forêt, si sono sempre aiutati e lei si è occupata del lascito di lui dopo la sua scomparsa. Era molto bella, è stata fotografata da Robert Doisneau, da Henry Clarke, il rischio, come succede alle artiste donne, è che ci si fermi più su questo che sulla loro arte. Hanno presentato un biopic a Cannes ("Niki" di Céline Sallette, interpretato da Charlotte Le Bon, nda), che non ho visto, ma che spero riveli la radicalità della sua natura e della sua arte».

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Immagine da L'OFFICIEL n. 792 del 1994 (Archivio L'OFFICIEL)
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Profumo di Niki de Saint Phalle su L'OFFICIEL n. 752 del 1989 (Archivio L'OFFICIEL)
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Heart, 1963 (2024/Niki Charitable Art Foundation)

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