L'Officiel Art

Francesco Vezzoli in mostra a Torino

Psichedelia e classicità riunite nella personale torinese dell’artista
indoors interior design fireplace person flooring human floor

All’edizione di Artissima dell’anno scorso era stato allestito il Deposito d’Arte Italiana Presente, un progetto curatoriale-archivistico speciale all’interno della fiera che tentava di storicizzare l’ultimo ventennio dell’arte contemporanea italiana. All’appello dei 128 artisti presenti non poteva mancare Francesco Vezzoli che partecipò con una riproduzione dell’ “Omaggio al quadrato” del maestro del Bauhaus Josef Albers - realizzato con l’inconfondibile tecnica vezzoliana del punto croce, una delle sue signature estetiche.

A un anno di distanza Vezzoli e Torino si rincontrano, questa volta fuori da Artissima. La personale dell’artista meneghino è ospitata negli spazi di Piazza Carignano 2 della Galleria Franco Noero, fino al 12 gennaio. Qualche civico più in là, nella stessa piazza, al numero 6, sorge il Teatro Carignano, luogo nel quale il pubblico è stato invitato a entrare nel 1975 da Dario Argento che, in Profondo Rosso, lo fece conoscere con un’inquadratura soggettiva che introduceva al fantomatico Congresso di Parapsicologia. Il colore dominante in quella scena, così come nell’allestimento della mostra di Vezzoli (curato da Filippo Bisagni) è un rosso accesissimo. Al posto del pubblico del Congresso ci sono gli spettatori di un’arte che apparentemente non c’è, ma che si ricerca in queste stanze purpuree e vuote. Una ricerca resa quanto mai grottesca dalla colonna sonora di Wendy Carlos, che insieme al magma cromatico, invade le stanze e rimanda allo scenario estetico proprio di un certo cinema horror italiano degli anni Settanta. L’esperienza è sinestetica e si è come trascinati in un clima in bilico tra l’elemento orrorifico e il divertissement puerile incarnato da un oggetto come il carillon.

Il colpo di scena? La visione dell’opera. I poli dialettici intorno ai quali l'unica scultura della mostra è pensata sono quelli di originale e copia; a pensarci bene tutta la storia dell’arte potrebbe essere riassunta in una peregrinazione linguistica e visiva intorno a queste due etichette. Gli stessi romani copiavano le sculture elleniche più antiche senza effettuare una distinzione valoriale tra l’originale e la copia; anche l’arte, così come la intende Vezzoli, è in linea con questa dichiarata estetica del pastiche. L’opera C-CUT Homo Ab Homine Natus è realizzata a partire da una scultura neoclassica da giardino del XX secolo che rappresenta un milite romano. La scultura ruota su se stessa e questa dinamicità permette allo spettatore di lasciarsi sorprendere dal secondo colpa di scena: la nascita, sulla schiena di questo finto antico, di una testa virile marmorea risalente al periodo tardo repubblicano (circa 50 AC – 37 DC). Uno squarcio di bronzo dal quale nasce la testa che cita iconograficamente, a sua volta, all’interno di questo infinito gioco di rimandi, i Concetti spaziali di Lucio Fontana. In questo parto estetico indolore e sovra-umano, al di là e al di qua dei limiti della rappresentazione, dove non si capisce più se sia l’originale a partorire l’imitazione o viceversa, la lezione da imparare è solo una: la forma è da sempre un miracolo al quale non possiamo fare a meno di assistere.

1 / 8

Tags

Articoli consigliati