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Deaths of Divine

Marina Abramovic’ riparte in tournée con il suo spettacolo sulla morte di sette eroine dell’opera interpretate da Maria Callas. Con i costumi di Riccardo Tisci
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«La Callas era la mia ispirazione. Avevo letto tutte le sue biografie e visto le registrazioni delle sue straordinarie performance. Sentivo una potente identificazione con lei. Oltre a somigliarci fisicamente, lei, come me, era Sagittario. Come me, ha avuto una madre terribile. Lei è morta di crepacuore e anche a me è stato spezzato il cuore. Ma io sono sopravvissuta». Questo scriveva Marina Abramović, la più celebre artista performativa della contemporaneità, nella sua autobiografia avvincente come un ro- manzo, “Walk Through Walls”, uscita nel 2016. Ma è da oltre trent’anni che l’artista ‒ 74 anni all’anagrafe, ma non nell’aspetto ‒ coltiva questa felice ossessione per la Divina. Di pari passo, è cresciuta in lei l’idea di sviluppare un’opera in cui poter reinscenare a modo suo la morte (d’amo- re o per amore) di sette eroine dell’opera, da Norma a Butterfly, tutte ovviamente interpretate dalla Callas a suo tempo. Così, dopo una lunga gestazione, “7 Deaths of Maria Callas” ha avuto la sua prima mondiale all’Opera di Stato, a Monaco di Baviera, lo scorso settembre, mentre si stanno finalizzando le successive date di Atene, Berlino e Parigi. Una straordinaria determinazione, ma anche molta passione e altrettanto talento. Sono le tre forze basilari che animano della Nostra Signora della Performance e che, quando va in scena, si condensano in quel lucente carisma, tipico delle vere dive, che scatena l’adorazione del grande pubblico, ma grande per davvero. Sono più di ottocentomila, infatti, le persone che le si sono sedute davanti per “The Artist is Presentˮ, la sua performance, durata tre mesi, al MoMA di New York nel 2010. Si sta quindi parlando di folle e non del ristretto, seppur globalizzato, talvolta competente e quasi sempremoraleggiante, “mondo dell’arte” il cui giudizio nei suoi confronti tende allo scetticismo, con punte di aperta avversione, da quando lei ha conquistato il successo planetario, mostrando anche di saperselo godere. Ma la sua importanza nella storia della performance art (nella fattispecie, quella dei contestatari anni ʼ70, dove il corpo inalienabile dell’artista sostituiva l’opera d’arte-merce) è indiscussa. Artista performativa. Diva contemporanea. Donna dal cuore spezzato. Marina Abramović in “7 Deaths of Maria Callas” appare nel ruolo di sette eroine tragiche in altrettanti film in cui ha voluto accanto a sé, nel ruolo di carnefice, la star di Hollywood Willem Dafoe ‒ già suo coprotagonista nel lavoro teatrale “The life and Death of Marina Abramović” realizzato con Bob Wilson nel 2011. In questi film, proiettati sul fondale, mentre sul palco cantanti liriche interpretano i vari brani d’opera,l’Abramović inscena, «sette morti di cui Maria Callas è morta prima di me», indossando costumi disegnati da Riccardo Tisci, direttore creativo di Burberry. Lo stilista, cui l’artista è legata da anni da una profonda amicizia e da una serie di collaborazioni interdisciplinari, ha affermato di essersi sentito, «immediatamente coinvolto, essendo sognatore romantico, in un progetto che ha come soggetto l’amore in tutte le sue sfumature, fino a quelle più oscure». Mentre di luce pare vestita l’Abramović, quando, in uno sfolgorante abito d’oro, si presenta sul palco per il gran finale di quest’opera dove la finzione del teatro si intreccia con la verità dell’autobiografia, la bellezza al dolore e la vita con la morte.

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