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Chloe Wise

L’artista canadese di 27 anni gioca con la moda, mettendo ironicamente a confronto consumismo e sessualità. Le sue opere denunciano l’oggettivazione della donna nella pubblicità, che utilizza la forma femminile per sedurre lo spettatore-acquirente

Pittrice, scultrice e videomaker, l’artista canadese Chloe Wise è diventata virale anche nel fashion system con le immagini delle sue borse Chanel a forma di baguettes, bagels e challah (pane a treccia della tradizione ebraica) sovradimensionati, le “Bread Bags”. Una delle sue amiche, l’attrice-modella e performer India Salvor Menuez, ha indossato la Bagel No. 5 durante una festa Chanel a Manhattan, mentre vestiva interamente con capi della Maison francese. Un gioco quasi adolescenziale, una satira privata, che portava con sé la potenza di un messaggio: la convergenza tra sessualità e consumismo. «Sia l’industria della moda sia l’industria alimentare utilizzano gli stessi simboli e significanti della pubblicità e dell’arte – producono i nostri desideri umani e le cose che ci attirano a consumare qualcosa. Il mondo della pubblicità utilizza la forma femminile e la sessualità per vendere un prodotto, le donne sono spesso oggettivate con lo scopo di associare un bene di consumo mondano a un ideale di desiderio sessuale. Gli annunci promozionali spesso giocano con questa stessa tecnica, seducendo lo spettatore a lungo con un prodotto alimentare. Allo stesso modo, nella storia

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dell’arte, lo stile delle nature morte è una rappresentazione della fugacità della vita, del cibo abbondante e della ricchezza, esposta su un piatto da consumare. Le donne sono presentate in modo simile nei dipinti di nudo tanto quanto nelle pubblicità automobilistiche». Nata e cresciuta a Montreal, da quattro anni a New York, adora vivere in una città estremamente veloce che ogni giorno regala migliaia di stimoli visivi che tonificano il nervo ottico. Come molti dei suoi amici artisti legati a un’estetica e a una cultura del post-internet e delle “fake-news” si definisce una Millennial, e non si prende troppo sul serio preferendo farsi selfie nel suo studio con outfit imbarazzanti piuttosto che conversare per ore con un bicchiere di vino in mano. Attiva sui social, ha sempre considerato naturale condividere la propria vita con un clic, come in un processo di comprensione del sé per il quale il ricordo e l’esperienza passano anche dalla condivisione e dalla visione dall’esterno. «Come nativa digitale, sono cresciuta con accesso totalmente libero alle numerose piattaforme di social media. Trovo che sia un modo naturale di processare la mia esperienza umana, come per tutti i Millennial. Non ho percezione immediata della particolarità di questo strumento di comunicazione, ma so che non esiste un precedente storico a questo fenomeno.

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Dare voce, potere e accessibilità a tante persone, e gruppi spesso emarginati è una forza incredibile e democratica. Al tempo stesso, non possiamo sottovalutare il fatto che questo potere potrebbe anche essere pericoloso, perché la nostra attenzione è breve e non siamo sempre consapevoli di ciò che stiamo consumando». Secondo Chloe, la società vive ancora una fase di comprensione rispetto alle potenzialità e ai rischi del digitale, nonostante sia indubbio per lei il vantaggio di dare accesso a informazioni e immagini a un numero sempre più alto di persone, e in maniera immediata.Il suo lavoro, che spazia dalla scultura alla pittura, dal video all’arte digitale, utilizza proprio questo strumento come business promozionale e strategia artistica, ma al tempo stesso come forma naturale di divertimento e attività. La possibile perdita d’identità di un jpg su internet è per lei fenomeno di massimo interesse, perché mette in evidenza la circolazione nomadica dei dati e il loro aleatorio significato, che cambia ed evolve quanto più le informazioni circolano di mano in mano. «L’idea che le immagini possano viaggiare più velocemente di quanto possiamo fare noi è veramente incredibile.

Mi piacerebbe utilizzare questa capacità per raggiungere più persone e diffondere un messaggio che vada oltre una galleria. Non è chiaro dove questa dinamica ci porterà, ma è una strada da percorrere insieme, perché i social media sono sempre più potenti e presenti nella nostra cultura». La sua ultima mostra pittorica, a Montreal, dal titolo “Cats not fighting is a horrible sound as well” proponeva un nuovo esame sulla concezione del valore e dell’autenticità utilizzando come pretesto il cibo italiano, protagonista di sculture, dipinti e video. La simulazione iperrealista degli alimenti e dei piatti sollevava una questione sull’autenticità, rilevando come anche gli stereotipi alimentari siano capitalizzati dall’immaginario culturale come testimoni di originalità. Prima della fine dell’anno aprirà la sua nuova mostra alla galleria Almine Rech di Parigi, un raggiungimento importante per una giovane artista come Chloe. «Il mio lavoro contiene elementi della pop art, ma riguarda anche la storia dell’arte», spiega. I suoi riferimenti artistici sono numerosi e spaziano dai pittori fiamminghi del XVII secolo come Jan Vermeer o il famoso ritrattista statunitense dell’800 John Signer Sargent, passando per la surrealista Meret Oppenheim, l’imprescindibile Marcel Duchamp fino ai contemporanei Pierre et Gilles, Maurizio Cattelan e Ryan Trecartin. Tutto questo panorama d’ispirazioni matura in Chloe in un linguaggio artistico che parla la lingua del suo tempo, ma consapevole della storia dalla quale deriva, capace di attualizzare

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«L’idea che le immagini possano viaggiare più velocemente di quanto possiamo fare noi è veramente incredibile. Mi piacerebbe utilizzare questa capacità per raggiungere più persone e diffondere un messaggio che vada oltre una galleria»
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un genere come la pittura spesso meno immediato per le nuove generazioni rispetto al video o all’installazione. Inoltre c’è il suo sguardo di giovane che vede nell’unione la forza, «non bisogna mai sottovalutare quanto gli uomini (e le donne) sottovalutino le donne. Internet fa sì che queste pretendano spazio e che si uniscano, e non ci sono dubbi che siamo più forti insieme. Dall’altra parte, gruppi femminili minoritari marginalizzati non vengono sempre ascoltati e, quando lo sono, è probabilmente l’industria della moda che le sta capitalizzando». Prima ancora dell’immagine è la prospettiva che genera il contenuto, il punto di vista, che Chloe vuole mettere in discussione, perché se un nudo femminile dipinto da un uomo è culturalmente normale allora stravolgere questa storia con senso ironico e quasi satirico è ciò che le interessa. Ma ci vuole un gran senso di responsabilità in tutto ciò, soprattutto quando diventi così popolare, «ciò che facciamo ha risonanza e il modo in cui operiamo è esposto a piena visibilità, dobbiamo quindi lavorare duramente per progredire nonostante i poteri che lavorano contro di noi. A forza di urlare nel vuoto una voce si fa coro, ed è nostro dovere, come persone fortunate che hanno voce e seguito, diffondere informazioni e contribuire a fare la differenza. Questo è il motivo per cui fare un lavoro pubblico e mantenere una presenza visibile è importante per me più che mai».

“Maidencore Mountainbottom”, 2016 e “One man’s sculpture is another man’s crime”, 2016. In apertura “The Swing” (Chanel) e “The Swing” (Dior), 2015. Courtesy of the artist

“Life’s Rough, But Not Rough Enough”, 2016. Courtesy of the artist

“You would have been a castle for a moment”, 2016. Courtesy of the artist

“Bagel & Locks”, 2015. Courtesy of the artist

 

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