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La terra di tutti

In Kirghizistan si svolgono ogni due anni i World Nomad Games. Orgoglio collettivo dalla Mongolia all’Argentina
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Foto René Habermacher

René Habermacher, fotografo di moda, durante un viaggio nel cuore dell’Asia, si imbatte nelle terre del Kirghizistan. In questo paese incontaminato e selvaggio, incontra uomini e donne incredibili che vivono una vita nomade e celebrano insieme “la riunione di tutte le culture” al di là delle proprie differenze ai World Nomad Games. Nati nel 2012 da un’iniziativa del presidente del Kirghizistan, Almazbek Atambayev, i giochi hanno come missione far rivivere e preservare la cultura, l’identità e gli stili di vita dei popoli nomadi nell’era della globalizzazione. Già Pierre de Coubertin, uno dei fondatori dei giochi olimpici contemporanei, sosteneva che lo sport fosse per ogni uomo e donna una fonte di miglioramento. Il campionato sportivo è alla base dello sviluppo di una cultura popolare ed è un’occasione di condivisione con gli altri paesi. I giochi olimpici dei nomadi sono sì un momento di svago, ma anche un’ottima occasione per rafforzare i rapporti diplomatici tra paesi limitrofi. All’evento sportivo partecipano oltre 76 paesi da tutto il mondo, dall’Argentina al Bangladesh, dalla Mongolia al Cameroon. Il mondo nomade connette milioni di persone, popoli dalle culture uniche, e lo sport, umano e inclusivo, preserva la diversità.

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I partecipanti delle gare, ripresi dalla macchina fotografica di René Habermacher. In questa foto Argen, il fantino mentre si riposa dopo una gara
Yomart, un combattente kirghiso per la squadra moscovita Kok-Boru
Il cowboy kirghiso che ha accompagnato il fotografo lungo il sentiero per arrivare a Kyrchyn
Un competitore kirghiso
Un wrestler bulgaro
Un partecipante con la bandiera afghana

La connessione tra attività all'aria aperta e patrimonio culturale è alla base della vita dei nomadi: «È stato magico poter scoprire come queste persone così diverse tra di loro, che arrivano da paesi lontani e che parlano lingue sconosciute fossero lì, tutte insieme, per condividere un momento di orgoglio collettivo», racconta il fotografo. Gli sport rappresentati sono 23 e includono le arti marziali, le corse a cavallo, il tiro con l’arco, la falconeria e la caccia con i taigani. I più famosi sono quelli equestri, come il buzkashi o kokpar, molto simili al polo ma con una differenza sostanziale: scopo del gioco è ottenere la carcassa di una capra decapitata a fine corsa. René Habermacher racconta la sua esperienza di quei giorni tra tende, polvere e migliaia di individui che si muovono, corrono e gridano. «Bisogna immaginarsi come in un immenso bazaar di culture differenti. Atleti da tutto il mondo arrivano qui per affrontare sfide di sport antichissimi e celebrare la diversità culturale. Ogni partecipante si sente onorato di esserci e condivide tutto ciò che ha con gli avversari e il pubblico, dal cibo alle risate, dalle storie a un passaggio a cavallo». Lo stile di vita del popolo del Kirghizistan è indubbiamente in contatto estremo con la natura, la sua magia, i suoi tempi e le sue regole.

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Sancho e Bay-Ali Abdibaitov delle Forze di difesa civile kirghisa assieme alla loro squadra

Compagno essenziale è il cavallo. Protagonista indiscusso degli sport locali è anche simbolo del modo di vivere sempre in movimento. «Durante gli spostamenti abbiamo incontrato un giovane cowboy kirghiso che ci ha fatto oltrepassare il sentiero alla gola di Kyrchyn. La sua famiglia fornisce i cavalli agli atleti stranieri che partecipano ai giochi. Ci ha raccontato la storia del cavallo del Kirghizistan, la razza tradizionale di piccola statura che i kirghisi associano alla loro cultura nomade. Originariamente i cavalli per l’equitazione e le competizioni sono stati stalloni non castrati e relativamente selvatici. A causa dell’allevamento incrociato durante il periodo sovietico, la razza originaria di cavalli kirghisi si era quasi estinta, ma negli ultimi anni sono riusciti a ripopolare la zona e per loro è un motivo di estremo orgoglio», racconta il fotografo. Durante le celebrazioni si recuperano contenuti molto antichi che rispecchiano valori di una società passata. «La cultura del Kirghizistan ha ancora un forte connotato patriarcale e le competizioni sportive sono quasi esclusivamente maschili. Ma anche le donne si sono fatte spazio in alcuni dei giochi. Tra queste, ho conosciuto Leanna, di origini russe dalla zona degli Urali, incinta di 5 mesi, in viaggio con suo marito, entrambi gareggiavano alla gara di tiro con l’arco. È stato un incontro speciale, lei era così orgogliosa di ciò che stava facendo, così calma e naturale, nonostante il suo stato. La sua fierezza era la dimostrazione che lo sport non è una questione di genere».

 

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In Alto. Un bambino a cavallo durante i World Nomad Games. “Jurt” la tenda nel canyon Skazka nei pressi del lago Isyk-Kul in Kirghizistan. In basso. Un’immagine dell’ingresso allo spazio dedicato ai giochi

Nonostante la distanza dall’Europa René spiega, «paradossalmente ho sentito un forte sentimento di familiarità in quelle zone, non soltanto per l’entusiasmo e la gentilezza delle persone intorno, ma per alcuni dettagli culturali e territoriali che hanno evocato in me il ricordo della Svizzera, la mia terra natia; gli abiti delle donne con le loro gonne lunghe e colorate, l’odore della terra e i colori dei fiori. Esiste una profonda connessione tra i giochi sportivi, la vita nomade e la natura umana, come l’origine della cultura, nel senso più ancestrale possibile che connette tutti gli uomini al di là di ogni differenza e confine politico. Ho capito quanto, nonostante le diversità, ogni cultura ha in comune qualcosa con un’altra. Il nomadismo trascende l’idea di nazione, non rivendica una terra o un possedimento, perché parla di condivisione, non di sfruttamento. In questi termini il significato di confine diventa molto effimero. È la scoperta di un’identità più naturale e primordiale, non costruita a tavolino dalla politica».

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