Pop culture

Seriality show

Un esempio su tutti è “Gomorra”, la prima crime fiction Made in Italy, interamente in dialetto napoletano, che ha avuto successo in Italia e fuori. Ma come hanno fatto quelli di Sky a scardinare il pregiudizio verso le serie italiane? «Con lo showrunner», dice Sonia Rovai, Head of Productions, «uno sceneggiatore-autore che si confronta con la regia per una costruzione visiva più audace». Il segreto? «Osare, quando nessuno lo farebbe»
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Un’altra fiction oggi è possibile. Anche in Italia. Oltre “Don Matteo”, “Un medico in famiglia”, “L’onore e il rispetto” e compagnia cantante. Dieci anni dopo “Romanzo Criminale la serie” (in onda nel novembre 2008) lo si può dire senza tema di smentita, confortati da tanti titoli di successo, “Gomorra”, certo, ma pure “1992/1993”, “I delitti del Bar Lume”, “In Treatment”, “The Young Pope”. Dietro a tutti c’è il brand Sky «che ha, da sempre, la mission di innovare, anche in un ambito complesso e articolato come quello della nuova serialità di produzione». A parlare è Sonia Rovai, oggi head of scripted productions per la pay tv, fin da subito, con Nils Hartmann e Roberto Amoroso, tra i responsabili della realizzazione di quel pugno di serie che hanno cambiato la percezione del pubblico verso la fiction italiana e creato nuovi spazi di mercato, anche internazionali, restituendo alla serialità nostrana la statura di evento (ma non solo: «“I delitti del Bar Lume” è ormai un titolo amatissimo dai nostri abbonati, anche per la sua apertura più mainstream e familiare, complice una dimensione sempre più corale»).

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Hanno compiuto una piccola, grande rivoluzione editoriale ripresa dal modello americano e internazionale, «attribuendo centralità e autonomia creativa alla figura dello showrunner, sceneggiatore-autore che si confronta anche con gli aspetti concreti della regia e della produzione, in grado di avere una visione globale del progetto»: come Stefano Sollima con Stefano Bises, Leonardo Fasoli e Roberto Saviano per “Gomorra”, e Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo (con il regista Giuseppe Gagliardi) per “1992/1993”.

«È sbagliato continuare a dividere cinema e tv, visto che oggi sono perfettamente integrati e si scambiano sempre più spesso attori, registi, sceneggiatori e maestranze»

Una scena di “1992”, in cui Veronica Castelli è con Leonardo Notte (sono rispettivamente Miriam Leone e Stefano Accorsi). Foto courtesy Sky

«Era già un brand editoriale forte, in libreria e al cinema, ma ne abbiamo fatto qualcosa di nuovo in televisione, a cominciare dall’impiego sistematico del dialetto, sul quale abbiamo lavorato molto. Dopo aver visionato la prima settimana di riprese, c’era già chi sentenziava che sarebbe stato per pochi. Ma quelli che sembravano dei limiti sono poi diventati dei punti di forza». “Gomorra”, «che nasce come titolo locale e poi esplode a livello internazionale», è diametralmente opposto a “The Young Pope”, «da subito gigantesco e internazionale

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“Gomorra 4” avrà quattro registi, tra cui anche l’attore Marco D’amore, dopo che il suo personaggio è uscito dalla serie. A coordinare tutti, Francesca Comencini

Sergio Castellitto è Giovanni Mari nella serie“ In Treatment”. Foto courtesy Sky

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