Intervista a Rowan Blanchard
«Ho creato il mio primo account su Tumblr quando avevo nove anni», dice con perfetta nonchalance Rowan Blanchard, mentre mi spiega quanto sia difficile per lei immaginare un mondo senza social media. Appena sedicenne, la stellina di Disney Channel è cresciuta in un mondo in cui Internet fa ormai parte dell’arredamento e oggi su Instagram si rivolge a una platea di 5,2 milioni di follower.
Quando considero il ritratto fatto dai media dei “giovani” e del loro rapporto con il web, penso immediatamente ai lati negativi: cyber-bullismo, percezione falsata della propria immagine corporea, ridotta capacità di concentrazione. Il tutto immerso in un mare di selfie scattati con il dog filter di Snapchat. Ma per quanto siano giustificate le preoccupazioni a proposito dell’era digitale in cui viviamo, Rowan rappresenta una generazione che descrive il suo rapporto con la tecnologia come qualcosa di totalmente positivo; la comunità di cui si fa parte online costituisce per i ragazzi della sua età una fonte infinita di ispirazione e informazioni sulle questioni che li appassionano.
«Quando ho iniziato a usare Internet, scoprivo e rebloggavo tutta una serie di artisti che non avevo mai visto o sentito prima. Le reti sociali sono state davvero formative per me; non ho certo imparato quel che so sul femminismo o l’intersezionalità dagli adulti intorno a me o a scuola, ma da altri adolescenti online».
Definire Rowan precoce sembra un eufemismo, anche se mi pare ingiusto rimarcare la sua età o assicurare che è “molto matura per gli anni che ha”. Così facendo mi troverei a sminuire il fatto che Rowan è matura-punto-e-basta come dimostra il fatto che le sue idee sono ben formate.
Ha iniziato solo recentemente a comprendere il costante rilievo dato dai media alla sua età in relazione con gli argomenti di cui è solita discutere: scrivere sul suo blog di femminismo intersezionale ad appena tredici anni era per lei solo un’estensione naturale delle conversazioni che in quel momento faceva con le amiche. Ci troviamo ad alzare entrambe gli occhi al cielo mentre discutiamo della tendenza dei giornalisti più attempati a etichettare le idee della sua generazione come “radicali”: «È vero! Mi definiscono continuamente una “pensatrice radicale”. Ma io non lo sono.
La gente è semplicemente scioccata dal fatto che gli adolescenti siano in prima linea in tutti i campi, che parlino di determinati problemi o fondino dei movimenti, ma storicamente è sempre andata così. I giovani sono sempre stati responsabili di certe prese di posizione. Immagino che la nostra sincerità spicchi particolarmente perché ci confrontiamo per la prima volta con un sacco di cose. La rabbia è rabbia. La tristezza è tristezza. La mancanza di filtri è una perfetta dotazione di base per la ribellione».
Da anni ormai, Rowan Blanchard non è più nota solo come attrice - prima di approdare a un ruolo nel film “Nelle pieghe del tempo”, all’inizio di quest’anno, è stata per varie stagioni la protagonista della serie Disney “Girl Meets World” - ma per aver saputo sottoporre le questioni che le stanno a cuore a un pubblico davvero ampio.
Ha esposto senza alcun impaccio il suo punto di vista sui diritti delle donne e quelli degli omosessuali, ha denunciato la violenza favorita dal facile accesso alle armi da fuoco, per citare solo alcuni degli argomenti di cui si è occupata; ma anche dopo aver pronunciato (a soli tredici anni, ecco, mi spiace, lo dovevo dire) un discorso sulla disuguaglianza di genere nel corso di una conferenza dell’UN Women non si sente a suo agio a essere etichettata come attivista.
«Mi pare che la cosa davvero irritante a proposito dell’impiego del termine “attivista” sia che tanti miei amici, la cui vita è diventata più pesante sotto questa amministrazione (quella di Trump, ndr), vengano definiti attivisti solo perché cercano di sopravvivere restando se stessi. Magari possono essere transgender, perché è proprio quello che sono, ma se si azzardano a parlare in pubblico dell’essere trans vengono automaticamente definiti attivisti trans e così via. È questo che mi stranisce: non si può decidere volontariamente di diventare attivisti, bisogna esserlo per forza perché si è costretti a combattere?».
Ascoltare Rowan discutere delle battaglie che lei e la sua generazione affrontano nell’America di Trump è piuttosto sconvolgente, considerato soprattutto il fatto che è ancora troppo giovane per votare. C’è una tensione tangibile nella sua voce mentre parla dell’ansia che prova quando considera il panorama politico, ma tiene sempre presente il suo privilegio e sa bene quanto questa presidenza pesi su certi gruppi sociali molto di più che su altri.
«Quello che sta succedendo è una tragedia per noi donne. Sono davvero terrorizzata dal fatto che ci vengano sottratte conquiste come il controllo delle nascite. L’aborto è una cosa che potrebbe riguardarmi prima o poi. Mi definisco queer, tutti i miei amici sono queer e in questo senso le idee di chi governa costituiscono un problema personale per me, ma sono cresciuta a Los Angeles, guadagno bene, rispetto ad altri ho avuto e avrò un sacco di vantaggi. Sinceramente è frustrante vedere che i cosiddetti adulti non sanno niente della vera storia del loro paese; le famiglie che vengono smembrate al confine e segregate nei centri di detenzione non sono una novità, eppure la gente ne è così sconvolta. Ci sono dei momenti in cui mi sento davvero impossibilitata a cambiare le cose».
E quindi che fa? L’arte e la letteratura si sono rivelate cruciali nel darle speranza quando vede tutto nero. Le brillano gli occhi mentre mi rivela che la lettura l’ha “salvata” e cita titoli come “The Argonauts” di Maggie Nelson e “White Girls” di Hilston Als: «libri fondamentali per vivere». All’inizio di quest’anno ha curato la pubblicazione di “Still Here” - una raccolta di pagine di diario, poesie e immagini cui hanno contribuito vari suoi amici, compresa la co-star de “L’Officiel” di agosto, Gia Coppola. La prima pagina del libro - impaginato come un intimissimo album di ricordi - recita in modo toccante, in grandi lettere scarabocchiate a mano: “Non sono così giovane da non saper riconoscere una bugia”. In questo lavoro Rowan ha catturato qualcosa di veramente portentoso e nello sfogliare quelle pagine dense di ghirigori e meditazioni su post-it, vengo travolta da un’ondata di nostalgia: Rowan, ovviamente, è modesta fino alla nonchalance quando ne parla. Nell’introduzione riassume perfettamente il senso di magia dell’adolescenza e quanto lei smani di viverla, dominarla, dissezionarla. A proposito della sua esperienza come curatrice editoriale, spiega che i pensieri e le idee che le passano per la testa sono così fugaci che certe parti del libro le sembrano già vecchie, nonostante sia uscito così di recente.
Il desiderio, l’energia e l’eccitazione di Rowan dinanzi a un nuovo progetto, la sua volontà di guardare sempre oltre, sono palpabili. Mentre parliamo dei suoi “exploit” - spiegare al mondo il femminismo e crescere negli Stati Uniti del 2018 - mi scalda il cuore vedermi balenare davanti il riflesso di una studentessa appena sedicenne con le difese del tutto abbassate.
A casa, dice, è tutto “normale”. «Quando sto in famiglia tutto il resto evapora. Ho due fratelli e la mia carriera non è certo più importante dei loro interessi. Recitare è solo una cosa che faccio. Mio fratello vorrebbe occuparsi di animazione, mia sorella studiare chirurgia. Io preferisco apparire in tv. Non è poi una cosa così brillante».
Per quanto possa essere tradizionale la sua vita in famiglia, mi chiedo e le chiedo come faccia una sedicenne giramondo che ha appena terminato una campagna per Miu Miu e oggi siede davanti a me agghindata da gioielli di Tiffany&Co., sotto gli sguardi vigili di un gruppo di guardie in divisa a restare, così, insomma normale.
«Ah», scherza, «mia madre direbbe: facile, basta darle un ceffone ogni tanto».
In effetti, quando sono arrivata sul set dello shooting per la copertina, pronta per l’intervista (e tutta scarmigliata per essere stata costretta a fare pipì dietro la macchina, lungo la strada, ma questa è un’altra storia) ho assistito casualmente a uno scambio di battute tra Rowan e la madre che litigavano a proposito delle uscite serali: “Uscire come hai fatto ieri sera, senza chiedere il permesso, è una mancanza di rispetto!”
Mi ero fermata nel corridoio e stavo pensando di schiarirmi la voce per far notare la mia presenza, quando ho sentito Rowan sussurrare amabilmente: “Scusa, mamma”. C’era qualcosa di così meravigliosamente sano in quella dinamica madre-figlia, completamente disconnessa dal fatto che solo pochi istanti prima, sul set, Rowan stesse lanciando insolenze alla squadra di addetti al trucco e parrucco, posando come una professionista in abiti firmati e facendo rimbombare Beyoncé da un altoparlante portatile. Al di là di tutto, ho pensato, è ancora semplicemente una ragazza di appena sedici anni.
All’orizzonte si profila la sua piena indipendenza ed è sopraffatta dall’eccitazione mentre mi parla delle domande d’iscrizione all’università e del sogno di trasferirsi a New York. Spera di specializzarsi in storia dell’arte e intende approfondire gli studi di genere, ma mentre parla con grande senso pratico dei test di ammissione all’università, inizia letteralmente a strillare: «Presto finirò le superiori».
Il suo obiettivo, mi confida, è quello di riuscire un giorno a scrivere e dirigere i propri film, ma per quanto sia elettrizzata dal futuro, ciò che rende meravigliosa Rowan Blanchard è il fortissimo desiderio di assorbire e godersi ciò che sente in ogni momento: «Mi dà letteralmente le vertigini pensare a tutto ciò che mi aspetta, ma sono, come dire, al culmine di tutto. Ecco perché non ho fretta di decidere cosa farò dopo. Sono davvero giovane e voglio gustarmi appieno il resto della mia adolescenza». Fa una pausa e sorride, prima di aggiungere: «È solo che succede tutto così rapidamente». Sante parole, piccola.
Rowan Blanchard indossa gioielli Tiffany&co
Foto Daria Kobayashi Ritch
Styling Chris Horan