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Nel labirinto del Padiglione Italia

"Né altra né questa. La sfida al labirinto" è il titolo del Padiglione Italia di quest’anno, curato da Milovan Farronato
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Né altra né questa. La sfida al labirinto. È questo il titolo del Padiglione Italia di quest’anno, curato da Milovan Farronato. Su Instagram, Farronato, da aprile, posta foto che lo hanno ispirato per sviluppare l’ambientazione che ospita l’Italia durante la Biennale di Venezia 2019. Un’ambientazione concettuale che fa due temi: la coesistenza e la giustapposizione. Alcune delle foto-ispirazione sul suo profilo: il mock-up di un museo a pianta ortogonale inserita dentro ad un giardino ortogonale anch’esso, stella ad otto punte fatta da alberi costruita da Katharina Fritsch. Il labirinto di Shining che corrisponde alla struttura e agli intrecci dell’Overlook Hotel, fino ad arrivare al Cretto di Burri, o a Tilda Swinton nei panni dell’Orlando nel film ispirato al romanzo di Virginia Wolf.

Il Padiglione è un labirinto nel labirinto. Venezia è già un labirinto di suo che nei secoli ha ispirato l’immaginazione di tanti labirintologi, tra cui Jorge Luis Borges e Italo Calvino. Un labirinto che fa un po’ paura ma è come se fosse trasparente. Venezia è un posto spettrale, dove si può guardare attraverso le cose. È il posto in cui Google Maps deve aggiornarsi di continuo: l’acqua aumenta e mangia la terra, la terra, a sua volta, riprende terreno. Alberi che crescono anche sott’acqua, conchiglie che si trovano fra le calle. Un posto fatto di residui e di cose che non stanno mai al loro posto. Nuovi ordini, nuove regole. Questo è anche il Padiglione Italia: si rispecchia perfettamente nella città che lo ospita. Un percorso espositivo non lineare, in cui lo spettatore sceglie ad ogni incrocio dove andare. Ci sono indizi, molliche di pane, ma ognuno le può leggere a modo suo, e creare una nuova rotta. Ogni scelta è giusta. Ogni scelta, prima o poi, porta all'uscita.

Gli artisti scelti da Farronato sono tre. Enrico David (Ancona, 1966), Chiara Fumai (Roma, 1978 – Bari, 2017) e Liliana Moro (Milano, 1961). Le opere sono in dialogo fra loro: forme sbilenche, oggetti piantati a terra, ben saldi, mappe che portano chissà dove si mischiano in un unico mondo obliquo, mai fermo.

David è presente con sculture di vario genere e forma – le sue figure antropomorfe asessuate si trasformano di continuo, sono inclinate, senza posizione fissa, rassegnate. Alcune a scala naturale in bronzo, altre piccolissime, insieme ad oggetti e dipinti. Una stanza è completamente piena di figurine che si guardano, che guardano chi passa. Si percepisce un legame forte con il passato: il suo e quello collettivo. Ultra paste, un'installazione che si trova alla fine di uno dei corridoi del labirinto è una citazione di un collage della surrealista Dora Maar (una scena grottesca, edipica) ma anche una proiezione dell'artista adolescente: c'è lui, di spalle allo spettatore, che si strofina contro un manichino.

Scomparsa a soli 39 anni, nell’agosto 2017, Chiara Fumai è presenza e guida astrale del Padiglione. Un'artista ammirata sia in Italia che all’estero per aver sviluppato una rilettura in chiave femminista del canone storico occidentale. Con i suoi collages, ambienti e impersonazioni, Fumai ridava voce a figure di opposizione alla cultura dominante, come le femministe Carla Lonzi e Valerie Solanas, la dogaressa Elisabetta Querini Valier, e altre donne, spesso dimenticate. L’uso della parola - scritta, pronunciata, ricamata, talvolta codificata in sigilli magici - era chiave per Fumai. In mostra nel labirinto, in anteprima, una produzione inedita di Fumai. This last line cannot be translated, lavoro postumo sviluppato in dialogo con Farronato, intreccia linee, disegni e parole: è un'invocazione della Messa del Caos – le linee formano stalagmiti e stalattiti di una grotta.

L'essenzialità cristallina di Liliana Moro taglia lo spazio, lo seziona. Poetica ma non romantica, come scrive il curatore, mette in gioco contenuti e oggetti d’uso comune per rivisitare la loro funzione originale e invitarci ad andare oltre ciò che è visibile. Come liberare un oggetto dal suo uso abituale e renderlo qualcos'altro. Nel labirinto del Padiglione Italia La spada nella roccia, una scultura in vetro soffiato di Murano, è sintesi di forza e fragilità insieme. Né in cielo né in terra, è una scritta a neon che mette insieme, anche lei, due poli opposti. Anzi, nessuno dei due. Una sentenza popolare che apre lo spazio ad un terzo posto, immaginario, che sta a metà, o oltre.

 

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