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Jenny Holzer al GAMeC

"Tutta la verità": una mostra che parla di esilio e migrazione
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«Ci vorrebbe dell’invisibilità,/ della grigia pietrosità,/ e, ancor meglio, dell’inesistenzialità,/ per un tempo breve oppure lungo». I versi di Wisława Szymborska brillano a caratteri cubitali sulle pareti della Sala delle Capriate: è in questo spazio che è stata allestita Tutta la verità (The Whole Truth), la mostra di Jenny Holzer curata da Lorenzo Giusti, direttore della GAMeC di Bergamo, e visitabile fino al primo settembre.

A due mesi dall’inaugurazione della grande retrospettiva su di lei al Guggenheim di Bilbao, l’artista statunitense torna in Italia con una serie di proiezioni luminose che parlano di esilio e di migrazione, argomento urticante e attuale come sempre sono stati i suoi messaggi.

L’urgenza espressiva di Holzer e la volontà dichiarata di arrivare a tutti, non solo agli esperti d’arte contemporanea, l’ha portata a costruire le sue opere mettendo al centro le parole, fin dalle frasi lapidarie contenute nei Truisms del 1978. Rispetto alle scritte di allora, lampeggianti sul gigantesco cartellone pubblicitario di Times Square e stampate ovunque si potesse posare lo sguardo (dai muri di New York alle magliette e ai condom), Holzer ha smesso di utilizzare frasi proprie, scegliendo invece le parole di scrittori provenienti da tutto il mondo. Le sue installazioni continuano a essere rivolte a un pubblico ampio, anche ora che sono stabilmente entrate nei musei e nelle gallerie: lo dimostrano le gigantesche proiezioni (in Italia le più recenti sono avvenute a Napoli nel 2006 e a Roma nel 2007) sui muri esterni di edifici scelti per la loro valenza evocativa in quanto sedi del potere civile, militare e religioso.

Un luogo significativo è anche lo storico Palazzo della Ragione di Bergamo, un tempo sede del tribunale cittadino. Nella Sala delle Capriate, al primo piano del palazzo, gli affreschi e i dettagli architettonici medievali traspaiono dalle scritte lucenti proiettate su due pareti, si mescolano ai contenuti dell’esposizione. Per questa mostra, Holzer ha scelto i versi di una ventina di poeti tra cui Szymborska, Hasan Al Nassar e Gëzim Hajdari. Le loro opere, tradotte in inglese e in italiano, testimoniano la condizione dell’esule: le parole di colui che non ha ancora ricevuto giustizia sono portate nel luogo dove la giustizia veniva amministrata. L’artista rivendica per sé il solo compito di fare da ponte tra lo spazio espositivo e i versi, tra il passato e il presente. La sua opera dà voce agli ultimi del mondo, i migranti di ogni Paese, tramite le parole dei poeti, forse gli artisti più ignorati dal grande pubblico. La luce dei loro versi illumina la sala buia e si riflette sulle nove panchine in marmo disposte a cerchio nella sala, sulla cui superficie sono incisi versi di Patrizia Cavalli e di Pier Paolo Pasolini.

Realizzate con il contributo della Fondazione Henraux, le panchine sono anche un invito a sedervisi per leggere e riflettere, magari ritornandovi più volte. Le proiezioni durano infatti quasi un’ora ciascuna: un tempo che poco si concilia con l’immediatezza del messaggio visto per strada e poi serbato nella memoria, ma che segna forse la ricerca, da parte di Holzer, di un altro tipo di comunicazione, che riesca a distinguersi in un’epoca ormai satura di contenuti immediati.

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