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Il senso del tatto a Première Vision, Parigi

2D Vs. 3D
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Come capiamo se un abito o una collezione ci piace? Prima ancora che degli indumenti in se, è della loro immagine che ci innamoriamo: grazie ai social network, alle campagne pubblicitarie, alle sfilate, agli e-commerce, oggi più che una volta, il nostro modo di conoscere la moda passa principalmente attraverso la vista. Che sia il nostro occhio a voler essere sedotto per primo, non c’è ombra di dubbio, siamo nell’epoca del visuale, ma la voglia di toccare un vestito, la curiosità di sentire di che materiale è fatto, quella, esiste ancora?Alla fiera tessile Première Vision, che in questi giorni a Parigi manda in scena l’edizione dedicata al Denim, le persone arrivano semplicemente per concentrarsi su questo aspetto fondamentale, ma che a volte sfugge della moda, il tessuto. Parlando con Pascaline Wilheim, la fashion director della manifestazione, scopro che il nostro modo di intendere il tatto non è più lo stesso dei nostri genitori o nonni, ma sta cambiando di pari passo alla tecnologia. Adattamento? “Il touch screen ha sovrapposto le nozioni di 2D e 3D. Attraverso lo schermo guardiamo e tocchiamo tante cose, tutte diverse, ma che il senso del tatto legge come uguali.” Ancora più complesso pensare che il tessuto possa avere una relazione con le forme degli abiti che vediamo sfilare sulle passerelle. Eppure è la base da cui tutto parte. Oggi uno degli esempi più chiari di questo rapporto è il lavoro dello stilista Dries Van Noten. Jürgen Sailer, che disegna la collezione uomo della maison belga, è tra i membri della giuria di Première Vision.

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Dries, con lui hanno fatto della ricerca sui materiali la sua chiave di lettura della moda. “Siamo più concentrati sui materiali che sulla forma” dice Jürgen “il tempo che spendiamo per progettare un tessuto è enorme in confronto a quello per il disegno dei modelli.” Nel quartier generale ad Anversa, vige la regola del lavoro “fluido”, Dries come non pensa a compartimenti stagni, ma guida ogni singola fase del processo. “Non c’è divisione: entrambi ci occupiamo di tutto, dagli intrecci, allo stile.” L’unicità delle collezioni sono i tessuti, ricamati, stampati, estremamente ricercati anche quando sembrano semplici. Superfici da toccare e guardare da vicino, che conquistano in sfilata ma che piacciono soprattutto dal vivo. Mode, come quella dell’abbigliamento sportivo e dei materiali tecnici, che portiamo avanti da oltre un decennio, nascono grazie alla sperimentazione con le fibre. Vanessa Schindler, la designer svizzera diplomata all’accademia di Arte e Design di Ginevra ha vinto il Premio della giuria al concorso di Hyères lo scorso Aprile con la collezione surreale-ingegneristica “Urethane Pool, Chapitre 2”, in mostra in fiera. “Sono partita dall’idea astratta di congelare i liquidi, ma volevo realizzare tutto nel mio studio, in autonomia. Così sono arrivata a lavorare con un polimero che poi ho solidificato, l’uretano.” Con questa resina ha inaugurato una nuova generazione di tessuti che mescolano artigianalità, funzione e decoro. L’abito che meglio rappresenta il concetto, e anche quello che lei preferisce, è ricoperto da conchiglie e altri oggetti tridimensionali. Sembrano dei ricami applicati ma sono anche la struttura del tessuto. Difficile non aver voglia di toccarli. Difficile soprattutto banalizzarli e appiattirli, anche quando sono filtrati dallo schermo touch del nostro smartphone.

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Crediti foto Vanessa Schindler:

photography Myriam Ziehli;

model Loucia Carlier

 

Crediti foto Première Vision:

poto contesto PV

foto con ragazza e basco PV©Taneka

 

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