Elisabetta Benassi a Palazzo Altemps
Il visitatore che sbuchi su piazza sant’Apollinare da una delle strade ombrose che confinano con il Lungotevere troverà Palazzo Altemps incassato in un angolo, proprio dirimpetto alla chiesa che dà il nome alla piazza. Quest’edificio cinquecentesco, legato alle fortune dei figli e nipoti di papi che si succedettero come suoi proprietari, porta ancora il nome del cardinale tedesco che ne fece la residenza del suo casato, italianizzandosi e anzi romanizzandosi definitivamente con l’acquisto delle numerose e bellissime sculture antiche di cui riempì il palazzo. E così ora Palazzo Altemps, una delle quattro sedi in cui da poco più di vent’anni è stato suddiviso il Museo Nazionale Romano (le altre sono quella storica delle Terme di Diocleziano, il Palazzo Massimo alle Terme e la Crypta Balbi), è il custode di una delle molte epoche artistiche attraversate da Roma, quella dei ricchi e potenti collezionisti che tra Cinque e Seicento resero le loro dimore private degli scrigni di capolavori attinti dalle immense ricchezze archeologiche della città.
Nelle sale affrescate secondo il gusto sfarzoso del Rinascimento romano si trovano statue appartenenti alle raccolte delle famiglie Altemps, Boncompagni Ludovisi e Mattei: dalla famosa villa con giardino appartenuta al cardinale Ludovisi provengono l’Ares Ludovisi e il gruppo del Galata suicida, diventato simbolo dell’intera collezione del museo. Nel tentativo di stabilire una continuità con questa tradizione storica e antiquaria, e di avvicinare le sue opere a un pubblico più vasto, da alcuni anni Palazzo Altemps ospita anche esposizioni di arte contemporanea. Diventato Istituto autonomo nel 2017, sotto la direzione di Daniela Porro, il museo accoglie solo progetti che siano in sintonia con la collezione permanente, la spieghino e la ridefiniscano. Ed è attorno a un recupero della tradizione simbolica e materiale del passato che si sviluppa EMPIRE, il progetto site-specific di Elisabetta Benassi esposto a Palazzo Altemps fino al primo settembre, dopo una prima installazione all’Istituto Italiano di Cultura di Londra.
Vincitore della terza edizione del bando Italian Council, il progetto prevede la ricomposizione ogni volta diversa di seimila mattoni, ognuno dei quali ha impressa a rilievo l’iscrizione in stampatello che dà il nome all’opera. Due mattoni sono composti da una lega di bronzo e oro: gli altri sono in terracotta, realizzati con una creta nero-violacea in una fornace del Gloucestershire. Disposte nel cortile del palazzo romano e circondate da una loggia da cui si affacciano le statue di marmo, le architetture di mattoni assumono le forme di fortini difensivi, aperti da un lato o chiusi a formare un torrione inaccessibile. Altre configurazioni assomigliano a cortine sagomate, la cui alternanza di sporgenze e di rientranze sembrano richiamare alla mente le forme di un labirinto o di una muraglia: figure tridimensionali enigmatiche ed effimere, permettono allo spettatore di interagirvi e di proporne un’interpretazione personale.
EMPIRE utilizza il mattone, unità base della costruzione antica da ben prima dei marmi imperiali, per rileggere la complessità dell’idea di impero nella sua accezione politica, sociale ed estetica. La potenza e la grandezza tradizionalmente associate al termine si accompagnano alla violenza, al dominio e alla sottomissione tramite cui l’idea si è storicamente realizzata. Il recupero simbolico dell’antichità da parte dell’artista romana diventa così un tentativo di ripensare la pesante eredità lasciataci dal passato, presentandola nella complessità che una percezione uniforme del tempo storico ci rende difficile cogliere.